La bellezza della prospettiva
Musica: Oltre i Confini dei segni e delle Note Scritte
Salvatore Orlando
Come le note, anche il segno scritto va interpretato: La musica, come ogni forma d’arte, è un dialogo tra creatore e osservatore, un invito a esplorare mondi oltre i confini delle note scritte. Il segno musicale quindi non è un semplice comando, ma piuttosto un suggerimento, un punto di partenza per un viaggio personale e unico.
Nel regno etereo della musica, dove le melodie e le armonie si intrecciano fortemente, l’essenza dell’arte sfugge alle catene della riproduzione fedele.
I segni musicali sono come stelle, guidano ma non illuminano il cammino. Sono farfalle che suggeriscono la direzione, ma lasciano alle ali dell’immaginazione il volo verso l’infinito.
Immagina un libro esposto tra me e te, le cui pagine sono ricche di segreti, io leggo la prima, tu l’ultima. Tu scopri saggezze nascoste nell’epilogo mentre io esploratore, mi meraviglio delle promesse celate nell’introduzione.
La tua mente vaga tra conclusioni e risoluzioni, mentre la mia si avventura nelle premesse e nelle promesse. Eppure la nostra lettura è un caleidoscopio d’interpretazioni, un mosaico di pensieri che si riflettono e divergono in un gioco di specchi senza fine. Questa è la bellezza della prospettiva: ciò che vedi dipende non solo da dove guardi, ma anche da come scegli di vedere.
Consideriamo una sedia. Se la guardi dall’alto, i suoi piedi si nascondono alla vista, ma sappiamo che esistono e sostengono fermamente la struttura, proprio come le sfumature “inascoltate” di una sinfonia sostengono l’edificio sonoro. Ma ciò non significa che non siano presenti. Ciò che non vediamo, o non sentiamo immediatamente non è meno reale o importante. Ogni esecuzione è un’opera d’arte, scolpita dalle mani e dall’anima dell’interprete.
I pianisti di un’era ormai lontana, erano scultori del suono, pittori di paesaggi sonori, maestri nell’arte dell’interpretazione. Non si accontentavano di seguire i sentieri tracciati sul pentagramma; essi creavano universi, dipingevano emozioni con le dita, e ogni nota era un colore, ogni silenzio una tela bianca. La loro musica respirava, parlava, viveva, era un diario aperto, una confessione, un sogno a occhi aperti. Trasformavano in espressioni di vita storie, e le raccontavano attraverso il loro tocco e timbro. Ogni nota era un respiro, ogni accordo un battito del loro cuore. La loro musica era viva perché era un riflesso della loro anima. Oggi, si avverte una nostalgia per quella sfrenata creatività. I giovani, con le loro dita agili ma le menti ancorate a schermi luminosi, sembrano aver smarrito la via che conduce al cuore dell’arte. La sensibilità si è assopita e la fantasia incatenata.
La musica chiede di essere liberata, di essere nuovamente scoperta, di essere sentita con l’anima e non solo con l’orecchio.
I vecchi esecutori portavano con sé una forte personalità, un insieme di esperienze che coloravano ogni loro esibizione. La fedeltà al segno non era il loro obiettivo; cercavano di catturare l’essenza dell’idea, di comunicare un messaggio che potesse risuonare in modo diverso in ogni ascoltatore. Ecco perché, quando ci accingiamo a fare musica, non dobbiamo semplicemente suonare; dobbiamo parlare, dobbiamo raccontare, dobbiamo vivere la musica.
Perché i segni sono solo il principio, sono il nostro alfabeto, ma l’idea, l’idea è infinita, è il nostro poema. E come ogni grande storia che si rispetti, merita di essere raccontata in mille modi diversi, tutti ugualmente veri e validi, tutti ugualmente belli e infiniti nella loro bellezza. Non dobbiamo dimenticare che ogni tasto è una porta verso l’ignoto. Noi non siamo semplici esecutori; siamo narratori, sognatori, creatori di mondi. Lasciamo che la musica parli attraverso di noi, che le nostre mani siano il mezzo per un messaggio più grande, un inno alla fantasia che una volta regnava sovrana. Perché in ogni nota c’è una storia che attende di essere raccontata, e in ogni storia, un cuore che attende di battere all’unisono con il nostro. La fedeltà al testo non è realizzare il segno, ma interpretarlo.
In passato non sono stato fedele al testo, e non lo sono ancora, è vero, ma ho cercato di comprenderne il significato più profondo senza dover per forza realizzare il segno scritto. Ma la mia crescita è in continua evoluzione e alcune posizioni si rivedono, anche senza che succeda per forza qualcosa.
Il dialogo con Francesco Libetta, pianista la cui acuta intelligenza e vasta cultura trascendono qualsiasi mia possibile introduzione, ha affinato la mia sensibilità verso la valutazione dei segni durante l’ultima fase del mio percorso didattico e… di vita, ma non in maniera ossessiva. La mia esperienza si è arricchita indirettamente, attraverso l’osservazione e i suggerimenti forniti ai miei studenti che hanno frequentato i suoi corsi alla Fondazione Grassi di Martina Franca (Taranto).
Sebbene il Maestro Libetta abbia molto apprezzato e riconosciuto il mio lavoro nella formazione pianistica tecnica e interpretativa dei miei allievi, mi ha incoraggiato ad approfondire la conoscenza delle edizioni originali, un aspetto che precedentemente non avevo ritenuto essenziale… Non mi sono convertito, ma ho cominciato a curiosare.
La sua guida non si è però mai focalizzata ossessivamente sulla notazione, ma piuttosto mi ha invitato a considerarla come fonte di ulteriori interpretazioni possibili. Questo approccio mi ha stuzzicato abbastanza.
L’assistenza ricevuta nell’analisi della notazione è stata cruciale per una riflessione sulle mie decisioni musicali prese in passato. Anche se sono stato in grado nel corso della mia vita didattica di trovare soluzioni musicali valide.
La consapevolezza del segno però mi ha persuaso che la sua esplorazione non implica necessariamente una sua esecuzione letterale, ma una sua interpretazione letteraria che può ispirare maggiori alternative creative che potrebbero apparire invisibili. Un aiuto a una creatività più intelligente.
Benevento 22 maggio 2024